Lo abbiamo detto tutti: “Mi conosco bene, io!”. Ma quanto è accurata questa affermazione? Le ricerche suggeriscono che la percezione che abbiamo di noi stessi potrebbe essere più un'illusione che una realtà. Nonostante la crescente diffusione di libri di auto-aiuto e di pratiche di mindfulness, molti di noi faticano a comprendere veramente i propri pensieri, sentimenti e motivazioni.
In questo articolo, sfaterò i miti sulla consapevolezza di sé e scopriremo perché l’introspezione, spesso vista come la via per la comprensione di sé, potrebbe non essere la soluzione che pensiamo.
Il mito della consapevolezza di sé
I ricercatori hanno scoperto che, anche se la maggior parte di noi crede di essere consapevole di sé, in realtà si tratta di una qualità davvero rara: solo il 10%-15% delle persone esaminate nel corso dello studio lo era davvero.
I ricercatori hanno riscontrato che miglioravano i livelli di consapevolezza coloro che avevano l’abitudine di andare alla ricerca di feedback costruttivi, ossia di persone che erano disponibili ad esprimere pensieri ed opinioni con estrema sincerità.
L’introspezione non sempre migliora la consapevolezza di sé
Eppure, uno dei risultati più sorprendenti della ricerca è che le persone che sono più orientate all’introspezione sono meno consapevoli di sé, ed hanno livelli di soddisfazione e benessere più bassi. Altre ricerche hanno mostrato esiti simili.
Il problema dell’introspezione, sostiene Tasha Eurich, non è che sia categoricamente inefficace, purtroppo però la maggior parte delle persone la fa in modo sbagliato.
Per capirlo, analizziamo la domanda introspettiva probabilmente più comune: “Perché?”.
Ce lo chiediamo quando cerchiamo di comprendere le nostre emozioni (perché Giulia mi piace tanto più di Romina?), il nostro comportamento (perché ho dato in escandescenze con la vicina di casa?) oppure i nostri atteggiamenti (perché sono così contraria a questa proposta?).
Si è scoperto che il “perché” è una domanda di autoconsapevolezza sorprendentemente inefficace. La ricerca ha dimostrato che semplicemente non ci permette di avere accesso a molti dei pensieri, sentimenti e motivazioni inconsci che restano così sconosciuti e intrappolati al di fuori della nostra consapevolezza.
E’ proprio così che finiamo per inventare risposte che ci sembrano vere, ma che spesso sono sbagliate.
La mente umana raramente opera in modo razionale e i nostri giudizi sono raramente privi di pregiudizi; tendiamo a cogliere qualsiasi “intuizione” senza metterne in dubbio la validità o il valore, ignoriamo le prove contraddittorie e costringiamo i nostri pensieri a conformarsi alle nostre idee preconcette.
Pertanto, chiediamoci il perché soprattutto quando siamo sicuri di avere ragione!
Un’altra conseguenza negativa del chiedersi perché, soprattutto quando si cerca di spiegare un risultato indesiderato, è che alimenta pensieri negativi improduttivi.
Immagina che tu e il tuo compagno abbiate avuto un litigio. Lui non ti ha ascoltato quando gli parlavi di un problema che ti stava preoccupando. Subito dopo, ti senti ferita e, pensando a lungo alla situazione, ti chiedi: "Perché non mi ha dato ascolto? Perché non mi capisce?" Queste domande possono portarti a ruminare sui tuoi pensieri e a concentrarti sul comportamento del tuo partner, portandoti a pensare che lui non ti ami abbastanza o che non ti rispetti.
Non prendi neppure in considerazione altre possibili cause: ad esempio potrebbe essere semplicemente stanco e distratto, potrebbe esserci qualcosa che lo preoccupa a livello personale o professionale, forse non si è reso conto che avevi bisogno di ascolto o attenzione in quel momento ma ha pensato che tu stessi semplicemente raccontando una situazione senza aspettarti una risposta approfondita, mentre in realtà avevi bisogno di un supporto emotivo o di una conversazione più impegnata.
Ecco perché le persone molto introspettive tendono ad essere più ansiose e depresse.
Quindi, se il perché non è la domanda introspettiva giusta, ce n’è una migliore?
Dalla ricerca è emerso che per favorire una visione di sé più efficace e diminuire la ruminazione improduttiva, dovremmo chiedere cosa, non perché. Le domande “cosa” ci aiutano a rimanere obiettivi, focalizzati sul futuro e autorizzati ad agire in base alle nostre nuove intuizioni.
Tornando all’esempio del litigio invece di partire dal presupposto che "non mi ama abbastanza" o "non mi rispetta", potresti chiederti: "Cosa posso fare per affrontare meglio la situazione la prossima volta?"
Ad esempio:
Parlare nel momento giusto: la prossima volta, magari puoi scegliere un momento più opportuno per parlare, quando entrambi siete meno distratti o stressati.
Chiedere chiarimenti in modo gentile: "Ho notato che quando ti ho parlato di quella cosa, sembravi un po' distratto. C’è qualcosa che ti preoccupa?" Questo permette di capire se c'era una ragione dietro al comportamento e non finire subito a pensare che sia un segno di disinteresse.
Chiedere il suo punto di vista: spesso una buona comunicazione parte dal chiedere come si sente l'altro. Potresti dire: "Sento che non mi stai ascoltando quando parlo di certe cose, ti va di parlarne insieme per capire come possiamo migliorare?".
Questo atteggiamento aiuta a trovare soluzioni e ci evita di fissare l’attenzione su schemi improduttivi.
L'aiuto di un professionista può essere fondamentale nel percorso di sviluppo della consapevolezza di sé. Grazie a feedback sinceri e costruttivi, un esperto può aiutarci a esplorare soluzioni alternative, a vedere le situazioni da angolazioni diverse e a far emergere ciò che spesso rimane nascosto nel nostro inconscio. La guida di un professionista ci offre l’opportunità di migliorare la nostra comprensione di noi stessi in modo profondo e autentico, superando le illusioni e i pregiudizi che spesso limitano la nostra crescita personale.
Stefania (tutto su di me QUI)
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